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Dopo aver scritto un post "internazionale" sulla mia esperienza in Cambogia, ecco finalmente un piccolo resoconto in italiano, pubblicato anche sulla Rivista del Locarnese e Valli (numero di marzo 2016, pp. 78-80).
La Cambogia in tre parole? Umida, accogliente e mozzafiato.
Da meta asiatica scelta un po’ per caso, in qualche settimana questo paese mi
ha completamente conquistata e la mia esperienza di volontariato ha lasciato
dei segni indelebili che sono orgogliosa di portare con me.
L’idea di partire come volontaria verso un paese in via di
sviluppo mi ronzava già da qualche tempo in testa, e il conseguimento del mio
diploma universitario sembrava il momento giusto per voltare pagina e partire verso
nuove avventure.
Pronti, partenza…
via!
Mi sono informata presso varie organizzazioni umanitarie, e
finalmente in agosto ho firmato un contratto con AIESEC, un’associazione mondiale
gestita dagli studenti per gli studenti, che offre stage remunerati ed
esperienze di volontariato in tutto il mondo. Dopo le vaccinazioni di rito e
gli acquisti strategici, 13 ore di volo mi hanno portata in un continente a me
completamente sconosciuto, in un paese tutto da scoprire: ad accogliermi
all’aeroporto un timido cambogiano con un vocabolario inglese ridotto e un
piatto di carta su cui aveva miracolosamente scritto il mio nome correttamente.
Dopo aver caricato il mio valigione sul suo piccolo tuk tuk – i taxi locali
costituiti da un piccolo calesse trainato da una motocicletta – abbiamo
attraversato la caotica capitale per raggiungere la Rachna International School, dove avrei alloggiato e lavorato come insegnante
d’inglese: ad accogliermi il manager della scuola con la moglie, e un’altra
volontaria dall’Ungheria. Per inaugurare la mia avventura mi è stato offerto un
frutto mai visto prima, e ho in seguito passato il mio primo pomeriggio
cambogiano aiutandoli a dipingere animali e numeri sulle parenti di una delle
aule.
Il volontariato
Dopo una bella dormita, la mattina seguente mi sono tuffata
nella routine lavorativa che avrebbe scandito le settimane del mio soggiorno:
sveglia alle 6:45, doccia – anche se contro la calda stagione delle piogge i
suoi effetti erano effimeri –, colazione a base di riso bianco con frittata e
carne, e spostamento in moto fino alla seconda sede della scuola dove alle 7:30
iniziavano le lezioni. La mia giornata era suddivisa in tre lezioni
(7.30-10.30, 13.30-16.30 e 17.30-18.30) ognuna con allievi diversi riuniti in
base al loro livello e non secondo l’età. Ai principianti insegnavo a scrivere
le lettere dell’alfabeto latino e i numeri romani, dato che l’alfabeto khmer
utilizza simboli completamente diversi; con i più avanzati invece esercitavo
grammatica, sintassi e pronuncia. Durante le pause avevamo il tempo di
contrattare qualche prezzo al mercato locale davanti a casa e sdraiarci un
attimo sui materassini in camera prima di tornare di nuovo alla lavagna. Dopo la
cena, cucinata con amore e passione dalla moglie del direttore, ognuno si separava
per preparare le lezioni del giorno successivo, gli esercizi per i compiti, i
test di fine settimana e gli esami di fine mese. Oltre alle lezioni di lingua,
dovevamo anche occuparci delle attività di svago e per queste trovare dei
lavoretti, delle canzoni, dei giochi con i quali farli divertire sempre mettendo
in gioco le loro competenze linguistiche. Le risorse materiali erano parecchio
limitate, ma la nostra creatività messa a dura prova ha comunque fruttato
parecchie ore di divertimenti.
Alla scoperta
dell’Altro mondo
Durante i fine settimana, in compagnia delle altre
volontarie, mi sono lanciata alla scoperta di questo piccolo grande paese, un
angolo alla volta, sempre trovando un paesaggio diverso e immancabilmente
spettacolare. Dalle umide foreste abitate dagli elefanti nella provincia di
Mondulkiri a est alle spiagge paradisiache dell’isoletta Koh Rong Sanloem,
passando per le sacre rovine dei templi nella città di Angkor a Siem Reap a
nord e quelle delle ville risalenti all’epoca coloniale francese a Kep a sud,
la Cambogia non smette mai di stupire. Un denominatore comune è l’accoglienza
sempre perfetta da parte dei cambogiani, che non esitano mai a porgere aiuto,
offrire consigli e condividere il proprio cibo. A Koh Oknha Tei siamo state
invitate nelle loro case e cortili per osservare il confezionamento di sciarpe
e stoffe di seta; a Siem Reap sono stata scortata fino alla cassa d’ingresso della
città sacra che nel buio delle 5 di mattina non riuscivo a trovare; a scuola
eravamo sommerse di cibi sconosciuti, torte dagli ingredienti ignoti e snack
improponibili. Gli abbracci stritolanti dei bambini e il sorriso della mercante
che, stupita del mio vocabolario khmer, ha aggiunto delle sorprese alla mia
borsa della spesa, sono dei ricordi che conservo con gelosia: quelli che
arrivano seguendo il richiamo dei celeberrimi templi di Angkor torneranno per
la Cambogia e i cambogiani.
Insegnamenti
I due mesi passati all’altro lato del mondo sono volati, e
nonostante fossi arrivata come maestra, ho comunque avuto il tempo di
racimolare qualche lezione importante anch’io. Ho imparato che il poco basta
veramente, e ho imparato a valutare le mie giornate in base all’impatto che
avevo avuto sulle vite degli altri; ho imparato a preoccuparmi di meno, e ad
accettare le cose come arrivano. Dopo le frenetiche e monotone giornate alle
quali ero abituata, la significatività delle mie azioni e i mille imprevisti
che costellavano i nostri viaggi mi hanno portato una grande tranquillità
d’animo e una flessibilità tutta nuova. Ho imparato ad abbracciare l’ignoto, a
saltare nel vuoto, ho scoperto di essere forte da sola. Alla fine del mio
soggiorno il bagaglio più pesante era costituito dalla mia memoria, anche se la
valigia di souvenir faceva una bella concorrenza.
La Cambogia
La Cambogia è un paese forte, che dopo terribili avvenimenti
storici sta lavorando sodo per rimettersi in piedi, ininterrottamente e con
determinazione. Quello che al mio arrivo avevo identificato come caos è in
realtà un intrico di ordinate regole, e dopo qualche giorno mi sono abituata a
viaggiare in contromano, a sorpassare in indefinite corsie e fare inversioni a
U vietate, decifrando i significati dei clacson e le traiettorie dei tuk tuk.
La Cambogia è un paese costituito da innumerevoli contrasti:
l’acre odore di carne al vento ai mercati si oppone all’incenso mattutino e alle
foreste silenziose che sanno di erba bagnata; le strade di periferia piene di
buche che l’acquazzone trasforma facilmente in fiume stonano con i negozi
sovrilluminati che espongono merci occidentali. L’ampiezza della tristezza
causata dal genocidio perpetrato dai khmer rossi solo qualche decina di anni fa
si scontra con l’inestinguibile voglia di vivere e l’interminabile gentilezza
della gente.
Questi due mesi sono stati un’avventura meravigliosa che mi
ha permesso di conoscere meglio una parte del mondo di cui non si sente spesso
parlare, di incontrare persone ispiratrici e di scoprire qualcosa di me stessa.
In tanti mi hanno chiesto perché ho scelto la Cambogia, e la verità è che una risposta
a questa domanda non l’ho ancora trovata, ma una cosa è certa, a viaggio
compiuto non scambierei questa meta con nessun’altra e sono contenta di aver
seguito non so bene quale istinto che mi trascinava verso il paese già secoli
fa aveva affascinato lo scrittore francese Pierre Loti.
Per le vie di Phnom Penh |
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